Estetica dentale: il 20% degli under 30 ha i denti troppo lunghi
Un giovane su cinque ha i denti troppo lunghi. Ossia, il tessuto gengivale si è ritirato e ha lasciato troppo scoperto il dente. Il problema è molto sentito e diffuso e, in questi casi, si può fare ricorso alla chirurgia plastica, che non solo migliora corpo e volto, ma anche il sorriso. Questi temi sono stati affrontati durante il 19esimo convegno della Società italiana di Parodontologia e Implantologia (Sidp). Si è parlato in particolare di come fare per rendere l’intervento meno invasivo e fastidioso per il paziente.
Il presidente della Sipd, Luca Landi, ha detto: “La recessione gengivale è un problema che colpisce una fetta importante della popolazione, almeno l’80 per cento degli over 65. Ma non risparmia i giovani: ne presenta almeno una il 20% degli under 30 e ben il 50% degli under 40”. Numeri che non possono lasciare indifferenti. Quali sono le cause del ritiro della gengive? Tante, non soltanto una. Come ha precisato ancora Landi: “Può dipendere da un tessuto gengivale particolarmente sottile, ma anche dall’abitudine di spazzolare i denti troppo vigorosamente con lo spazzolino”.
Caratteristiche fisiche, dunque, ma anche cattive abitudini di igiene orale, tanto che ogni buon dentista ha il dovere di insegnare al paziente come pulirsi i denti senza procurarsi danni. Quando i denti sono troppo lunghi, deve intervenire il chirurgo plastico, con un’operazione ambulatoriale e in anestesia locale. In cosa consiste l’operazione?
Come si fa l’operazione e quando è consigliabile
Nello spostamento del tessuto, che viene prelevato dal palato e innestato sulle gengive. Landi avverte: “Sta offrendo risultati promettenti anche l’utilizzo di materiali biologici innovativi per la medicina rigenerativa, che evitano il prelievo palatale, rendendo il trattamento meno invasivo”. Bisogna però fare attenzione: non tutte le recessioni gengivali vanno trattate.
“Si consiglia di farlo nei casi in cui l’estetica compromessa generi particolare insicurezza, ovvero quando i denti appaiono troppo allungati a causa della gengiva che si ritrae”. Il gioco deve valere la candela: “L’intervento è consigliato anche nei casi in cui vi sia particolare sensibilità gengivale a causa del colletto lasciato scoperto. Ma anche, e soprattutto, qualora di debba affrontare una cura ortodontica per correggere l’affollamento dentale, così come nei casi di parodontite che, se non trattati, possono portare poi a un peggioramento”.
In tutti gli altri casi, non è strettamente necessario ricorrere al chirurgo plastico. Naturalmente, c’è libertà di scelta da parte del paziente, che vorrebbe anche solo poter migliorare il proprio sorriso. Anche ricorrendo dunque all’intervento.
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Endodonzia: quando usare l’antibiotico e quando no
In Italia consumiamo troppi antibiotici? Sì, secondo i rapporti medici che vengono periodicamente resi noti. Non fa differenza l’odontoiatria che, anzi, è una tra le discipline mediche dove più vengono prescritti. A fare chiarezza è intervenuta la Società europea di endodonzia, che ha convocato un gruppo di esperti per dare indicazioni in merito alle situazioni cliniche in cui è richiesta questa terapia affiancata al trattamento endodontico, sia di natura ortograda sia chirurgica.
E’ stato stilato un vero e proprio vademecum, completo anche di indicazioni precise su quando vanno impiegati gli antibiotici, i farmaci da impiegare, le modalità di assunzione, i dosaggi e i tempi di terapia. C’è un capitolo anche per chi ha patologie sistemiche. E’ emerso, tra le prime considerazioni, che le infezioni endodontiche sono quasi tutte all’interno degli spazi canalari e che quindi il trattamento chemio-meccanico canalare è valido per guarire. E non è necessario ricorrere al trattamento antibiotico locale e neanche sistemico, visto che il principio attivo ha difficoltà a raggiungere il tessuto pulpare passando dal forame apicale.
Il trattamento endodontico può portare la batteriemia, ma il fenomeno è viene combattuto senza troppi problemi dal nostro organismo, senza dunque complicazioni. Se si tratta di pazienti con problemi sistemici, in cui è più probabile il rischio d’infezione, la terapia antibiotica a scopo profilattico può essere giusta. Ora andiamo a scoprire alcuni casi specifici.
Casi specifici di trattamenti endodontici
Il trattamento ortogrado generalmente non richiede l’antibiotico. Parliamo di pulpite irreversibile in assenza di segni legati alla diffusione del processo infettivo nei tessuti ossei periradicolari; di necrosi del tessuto pulpare; periodontite apicale legata alla presenza di materiale necrotico provenienti dagli spazi canalari, anche se accompagnati da dolori durante la masticazione e di visione radiografica di allargamento del legamento periodontale.
E poi ancora: ascessi apicali acuti, facilmente drenati dal canale radicolare; le lesioni croniche di natura granulomatosa. Fanno eccezione quelle situazioni in cui, al drenaggio dell’essudato attraverso il canale, compaiono rigonfiamenti locali e sintomi della diffusione dell’infezione ai tessuti ossei alveolari circostanti il dente causa dell’ascesso. Spesso, in questi casi, c’è anche un rialzo della temperatura fino a 38°, ingrossamento dei linfonodi di competenza delle zone topografiche del dente interessato, eventualmente trisma.
Antibiotici consigliati anche quando in meno di 24 ore si assisa a un progressivo peggioramento del quadro infettivo odontogeno di origine endodontica, con cellulite e/o osteomielite, che richiedono la consulenza del chirurgo orale e anche il suo intervento. Nel momento in cui l’approccio endodontico si trasforma trattamento ortogrado a chirurgico il rapporto dice sì agli antibiotici. Sì a questa terapia anche nel re-impianto dentale di elementi permanenti avulsi per trauma.
La Società europea consiglia di utilizzare in prima battuta antibiotici beta-lattamici (amoxicillina). L’amoxicillina clavulanata può essere giusta nei casi più complessi che non rispondono all’amoxicillina. Dose iniziale 1.000 mg, poi 500 mg ogni otto ore. Deve durare almeno cinque giorni. Attenzione perché i beta-lattamici possono dare reazioni allergiche, quindi in questi pazienti è meglio utilizzare la clindamicina 600 mg e poi quella da 300 mg ogni 6 ore, oppure la claritromicina 500 mg come dose di attacco con mantenimento a seguire pari a 250 mg ogni 12 ore e infine l’azitromicina 500 mg come dose di attacco, alla quale segue un mantenimento di 250 mg in un’unica somministrazione giornaliera.
Ci sono situazioni in cui il sistema immunitario del paziente è compromesso e quindi l’antibiotico va usato (leucemia, Hiv+, patologia diabetica incontrollata, severa e terminale compromissione della funzionalità renale, trattamenti di chemioterapia per neoplasie, impiego di farmaci steroidei o immunodepressori nei pazienti sottoposti a trapianto di organo.
Sì alla terapia antibiotica prima del trattamento endodontico anche per chi ha il rischio di sviluppare endocarditi infettive (pazienti con difetti cardiaci congeniti, protesi valvolari o storia precedente di endocardite infettiva). Un ultimo gruppo di pazienti sono quelli trattati a livello delle ossa mascellari con alte dosi di radiazioni, quelli trattati con farmaci bisfosfonati. In questi casi, consigliata la somministrazione di amoxicillina 2.000 mg da assumere un’ora prima del trattamento oppure, per i pazienti che non possono assumere terapia per via orale, è consigliato l’impiego di ampicillina per via endovenosa o intramuscolare, sempre con un dosaggio pari a 2.000 mg entro trenta minuti prima dell’intervento.
Nei pazienti allergici ai beta-lattamici, clindamicina per via orale in un unico dosaggio di 600 mg da assumere un’ora prima del trattamento. Lo stesso dosaggio (clindamicina) di 600 mg per infusione venosa è da riservare ai pazienti che non possono assumere terapia per via orale, da iniziare trenta minuti prima del trattamento endodontico. Altri farmaci che si possono somministrare in termini di profilassi antibiotica nei pazienti allergici ai beta-lattamici comprendono l’impiego di cefalexina per via orale in un dosaggio di 2.000 mg da assumere un’ora prima dell’intervento, oppure l’azitromicina o claritromicina per via orale in un dosaggio pari a 500 mg da assumere un’ora prima dell’intervento.
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