Endodonzia: quando usare l’antibiotico e quando no
In Italia consumiamo troppi antibiotici? Sì, secondo i rapporti medici che vengono periodicamente resi noti. Non fa differenza l’odontoiatria che, anzi, è una tra le discipline mediche dove più vengono prescritti. A fare chiarezza è intervenuta la Società europea di endodonzia, che ha convocato un gruppo di esperti per dare indicazioni in merito alle situazioni cliniche in cui è richiesta questa terapia affiancata al trattamento endodontico, sia di natura ortograda sia chirurgica.
E’ stato stilato un vero e proprio vademecum, completo anche di indicazioni precise su quando vanno impiegati gli antibiotici, i farmaci da impiegare, le modalità di assunzione, i dosaggi e i tempi di terapia. C’è un capitolo anche per chi ha patologie sistemiche. E’ emerso, tra le prime considerazioni, che le infezioni endodontiche sono quasi tutte all’interno degli spazi canalari e che quindi il trattamento chemio-meccanico canalare è valido per guarire. E non è necessario ricorrere al trattamento antibiotico locale e neanche sistemico, visto che il principio attivo ha difficoltà a raggiungere il tessuto pulpare passando dal forame apicale.
Il trattamento endodontico può portare la batteriemia, ma il fenomeno è viene combattuto senza troppi problemi dal nostro organismo, senza dunque complicazioni. Se si tratta di pazienti con problemi sistemici, in cui è più probabile il rischio d’infezione, la terapia antibiotica a scopo profilattico può essere giusta. Ora andiamo a scoprire alcuni casi specifici.
Casi specifici di trattamenti endodontici
Il trattamento ortogrado generalmente non richiede l’antibiotico. Parliamo di pulpite irreversibile in assenza di segni legati alla diffusione del processo infettivo nei tessuti ossei periradicolari; di necrosi del tessuto pulpare; periodontite apicale legata alla presenza di materiale necrotico provenienti dagli spazi canalari, anche se accompagnati da dolori durante la masticazione e di visione radiografica di allargamento del legamento periodontale.
E poi ancora: ascessi apicali acuti, facilmente drenati dal canale radicolare; le lesioni croniche di natura granulomatosa. Fanno eccezione quelle situazioni in cui, al drenaggio dell’essudato attraverso il canale, compaiono rigonfiamenti locali e sintomi della diffusione dell’infezione ai tessuti ossei alveolari circostanti il dente causa dell’ascesso. Spesso, in questi casi, c’è anche un rialzo della temperatura fino a 38°, ingrossamento dei linfonodi di competenza delle zone topografiche del dente interessato, eventualmente trisma.
Antibiotici consigliati anche quando in meno di 24 ore si assisa a un progressivo peggioramento del quadro infettivo odontogeno di origine endodontica, con cellulite e/o osteomielite, che richiedono la consulenza del chirurgo orale e anche il suo intervento. Nel momento in cui l’approccio endodontico si trasforma trattamento ortogrado a chirurgico il rapporto dice sì agli antibiotici. Sì a questa terapia anche nel re-impianto dentale di elementi permanenti avulsi per trauma.
La Società europea consiglia di utilizzare in prima battuta antibiotici beta-lattamici (amoxicillina). L’amoxicillina clavulanata può essere giusta nei casi più complessi che non rispondono all’amoxicillina. Dose iniziale 1.000 mg, poi 500 mg ogni otto ore. Deve durare almeno cinque giorni. Attenzione perché i beta-lattamici possono dare reazioni allergiche, quindi in questi pazienti è meglio utilizzare la clindamicina 600 mg e poi quella da 300 mg ogni 6 ore, oppure la claritromicina 500 mg come dose di attacco con mantenimento a seguire pari a 250 mg ogni 12 ore e infine l’azitromicina 500 mg come dose di attacco, alla quale segue un mantenimento di 250 mg in un’unica somministrazione giornaliera.
Ci sono situazioni in cui il sistema immunitario del paziente è compromesso e quindi l’antibiotico va usato (leucemia, Hiv+, patologia diabetica incontrollata, severa e terminale compromissione della funzionalità renale, trattamenti di chemioterapia per neoplasie, impiego di farmaci steroidei o immunodepressori nei pazienti sottoposti a trapianto di organo.
Sì alla terapia antibiotica prima del trattamento endodontico anche per chi ha il rischio di sviluppare endocarditi infettive (pazienti con difetti cardiaci congeniti, protesi valvolari o storia precedente di endocardite infettiva). Un ultimo gruppo di pazienti sono quelli trattati a livello delle ossa mascellari con alte dosi di radiazioni, quelli trattati con farmaci bisfosfonati. In questi casi, consigliata la somministrazione di amoxicillina 2.000 mg da assumere un’ora prima del trattamento oppure, per i pazienti che non possono assumere terapia per via orale, è consigliato l’impiego di ampicillina per via endovenosa o intramuscolare, sempre con un dosaggio pari a 2.000 mg entro trenta minuti prima dell’intervento.
Nei pazienti allergici ai beta-lattamici, clindamicina per via orale in un unico dosaggio di 600 mg da assumere un’ora prima del trattamento. Lo stesso dosaggio (clindamicina) di 600 mg per infusione venosa è da riservare ai pazienti che non possono assumere terapia per via orale, da iniziare trenta minuti prima del trattamento endodontico. Altri farmaci che si possono somministrare in termini di profilassi antibiotica nei pazienti allergici ai beta-lattamici comprendono l’impiego di cefalexina per via orale in un dosaggio di 2.000 mg da assumere un’ora prima dell’intervento, oppure l’azitromicina o claritromicina per via orale in un dosaggio pari a 500 mg da assumere un’ora prima dell’intervento.
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Endodonzia: devitalizzare il dente non significa ucciderlo
Facciamo chiarezza: curare un dente che fa male significa devitalizzarlo? In realtà, anche le radici trattate con l’endodonzia restano vive. Ed è fondamentale perché se gli strati parodontali vivi, di cui è fatta la radice, morissero, l’organismo metterebbe in atto un meccanismo di riassorbimento del corpo estraneo.
L’endodonzia agisce solamente all’interno, nel momento del bisogno, rendendo inoffensiva l’infezione provocata da una carie, irraggiungibile dalle difese del nostro corpo. Non viene in alcun modo toccata la vitalità che ricopre l’apparato radicolare. Il dente mantiene la sua sensibilità quando si mastica, cosa che invece non avviene con gli impianti. Bisogna aggiungere che gli strati vitali sono tre e insieme formano il parodonto: il cemento radicolare, lo strato più duro della radice; il legamento parodontale; l’osso alveolare dei mascellari. Quando si estrae un dente, questi tessuti vengono tutti riassorbiti dall’organismo, compreso in gran parte l’osso che circondava le radici.
L’endodonzia moderna
Insomma, anche dopo la devitalizzazione, il dente resta biologicamente vivo. E questo è uno dei vantaggi dell’endodonzia, una delle sue caratteristiche. Fino a qualche decennio fa, l’unico modo per curare un dente malato era l’estrazione. Una soluzione disperata e anche dolorosa perché anestetici e antibiotici sono in uso da poco tempo. Una soluzione neanche facile tecnicamente parlando. Successivamente si pensò a come togliere il dolore, ma non il dente. Si devitalizzava la polpa infiammata inserendo dei veleni, come la pasta arsenicale, o fissativi tossici, la paraformaldeide. Attenzione perché questo tipo di operazione non è completamente sparito in Occidente.
Poi è arrivata la moderna endodonzia, che ha l’obiettivo primario di decontaminare l’intero sistema canalare endodontico. Vengono utilizzati materiali innovativi per la riparazione della perforazione, strumentazione, detersione, materiali da otturazione, cementi, igiene e sicurezza mediante la diga di gomma. Si rispetta prima di tutto la bocca del paziente, si eliminano i rischi esistenti nei precedenti interventi. L’endodonto viene sagomato, deterso e otturato in modo completo e preciso per rendere biologicamente inerte lo spazio prima occupato dalla polpa, quando è danneggiata irrimediabilmente dalle carie, da altre patologie o da traumi.
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Corone dentali: ricerca olandese sulla longevità
CORONE DENTALI
Quelle in area mascellare hanno dimostrato un grado di fallimento superiore di quelle posizionate in zona mandibola
Le corone dentali sono costose, dunque i pazienti si aspettano che durino a lungo. Nel luglio di quest’anno, sul ‘Journal of Dentistry‘, è stata valutata proprio la longevità delle corone singole, posizionate da otto dentisti olandesi, per cercare i fattori di rischio associati ai fallimenti delle relative corone dentali.
Il lavoro è stato particolarmente lungo: gli autori hanno infatti analizzato 3.404 corone singole in 1.557 pazienti, eseguite tra il 1996 e il 2011.
Sono stati quindi calcolati i tassi di fallimento annui (Afr) e tutte le variabili associate ai fallimenti (successo e sopravvivenza delle corone dentali) sono state studiate con l’analisi di regressioni di Cox.
Andiamo a scoprire i risultati di questa ricerca.
La maggior parte delle corone dentali valutate erano rappresentate da metallo-ceramica Pfm (63,8%) su molari (58,1%) e in denti non trattati endodonticamente (65,4%).
Tempo di osservazione dei restauri: da tre settimane a 11 anni, media di sette anni.
Il tasso medio di fallimenti annui, a 11 anni, è stato del 2,1% e dello 0,7% per il successo e la sopravvivenza delle corone. Il fattore più rischioso per la longevità delle corone dentali singole è stato la presenza di un trattamento endodontico.
Le corone dentali singole sui denti in area mascellare hanno dimostrato un grado di fallimento superiore rispetto a quelle posizionate in zona mandibola. Un rischio maggiore del 25% è stato osservato nelle corone degli uomini rispetto a quelle delle donne.
In conclusione, le corone singole garantiscono un successo accettabile e soddisfacente a distanza, con tassi di sopravvivenza più longevi, principalmente dipendenti dall’esperienza dell’operatore.
I denti trattati endodonticamente sono invece un fattore di rischio alto per le corone sovrastanti, il che porta a maggiori fallimenti.
A livello clinico, le corone protesiche singole danno buone garanzie di sopravvivenza a lungo termine, sia quelle in metallo-ceramica sia in metal-free.
Altri studi, però, hanno dimostrato una prestazione leggermente inferiore da parte di alcuni tipi di corone in ceramica integrale rispetto a quelle in metallo ceramica Pfm.
Nei settori masticatori, è meglio optare per le corone dentali tradizionali.