Impianti fissi: la tecnica Flapless ha sempre più successo
Un impianto dentale fisso è funzionale ed esteticamente migliora la bocca e il sorriso di chiunque. Le tecniche di inserimento, oggi, sono sempre meno invasive. Ossia, si può inserire l’impianto senza dover tagliare le gengive, il che rende gli interventi meno lunghi e con un decorso migliore.
A Milano è possibile sottoporsi a questo tipo di operazione. Niente incisione più o meno grande sulla gengiva, per poterla poi discostare dall’osso sottostante. Niente punti di sutura al termine dell’intervento, che prevede – tramite l’uso di frese calibrate – il posizionamento dell’impianto stesso all’interno del sito. L’operazione mini invasiva viene detta Flapless (che in inglese significa senza lembo). Non sempre è possibile, ma quando si può i benefici sono enormi. Non si devono fare tagli estesi alle gengive, scollandole. Si realizza un piccolo opercolo gengivale che consenta l’accesso alle frese di preparazione.
I disagi e i fastidi del paziente crollano letteralmente sia durante sia dopo l’intervento, che dura molto meno tempo. Anzi, i fastidi post-operatori sono praticamente pari a zero o comunque si possono tenere sotto controllo semplicemente con i farmaci. Perché la Flapless sta riscuotendo grande successo?
Perché la Flapless oggi è possibile
Sostanzialmente perché oggi gli odontoiatri si ritrovano a lavorare con tecnologie molto più avanzate e possono lavorare in totale sicurezza. Citiamo gli strumenti in 3D per le radiografie, i software specifici che possono simulare l’intervento prima di effettuarlo. Non solo: le analisi compiute al computer permettono di creare guide chirurgiche precisissime che permettono poi di operare nel posizionamento degli impianti in modo preciso.
Ci sono casi in cui non è possibile adottare questa tecnica e bisogna operare dunque in modo tradizionale. Quando? Quando ci sono situazioni anatomicamente piuttosto difficili, in cui è dunque necessario avere una visuale ampia oppure quando si presentano all’odontoiatra situazioni che richiedono l’aumento dei livelli ossei, la cosiddetta rigenerazione.
Dente compromesso? Ecco come salvarlo
Quando un dente è compromesso, cosa fare? L’Accademia italiana di endodonzia (Aie) ne ha discusso durante il 27esimo congresso nazionale a Bologna. È emerso che il dente compromesso in arcata non va sostituito con un impianto. Con gli strumenti a disposizione oggi e le nuove tecniche, infatti, migliora la prognosi a lungo termine e il dente può essere salvato. Naturalmente, a giocare un ruolo determinante sono anche la suscettibilità del paziente, l’esperienza dell’operatore, le abitudini viziate e la salute generale.
Durante il congresso Aie, ci si è focalizzati sull’utilizzo di tecniche combinate per recuperare il dente, come l’estrusione ortodontica o chirurgica, la chirurgia parodontale ed endodontica, le procedure protesiche modificate, il reimpianto funzionale del dente. Bisogna insomma valutare una serie di parametri per determinare l’effettiva recuperabilità del dente. Il ripristino della funzione e l’estetica del dente compromesso, con risultati predicibili e affidabili nel tempo.
Togliere il dente non è la prima opzione
Ancora una volta, togliere il dente non è la prima opzione da prendere in considerazione. Oggi è più facile salvare quelli compromessi. Le tavole rotonde e i lavori del congresso sono arrivati a questa conclusione: preservare il più possibile la dentatura naturale, anche di elementi con un certo grado di compromissione. Meglio posticipare soluzioni terapeutiche più invasive, meglio favorire l’approccio conservativo. È emerso anche che, nell’era dell’odontoiatria multidisciplinare, non c’è una terapia che domina sulle altre. Le diverse branche devono lavorare in sinergia ed essere utilizzate con un unico scopo: ridurre l’impatto biologico ed economico del trattamento.
Il percorso di ‘decision making’ è iniziato con il corso precongressuale a cura del professor Thomas von Arx, dell’Università svizzera di Berna, sulla chirurgia endodontica. Sono state valutare le procedure operative e le tecniche rigenerative più appropriate alle diverse situazioni cliniche. Durante le giornate del congresso, si sono alternate diversi relatori, coordinati da Elisabetta Conti. Hanno tutti parlato del tema della riabilitazione in arcata dei denti compromessi, esaminando i processi decisionali interdisciplinari più consoni, spaziando dunque dall’endodonzia alla parodontologia, dalla restaurativa alla protesi e all’implantologia.
Implantologia oggi: sedazione cosciente e procedura computer guidata
Perdere i denti è una brutta sensazione. Che crea imbarazzo. Entra in gioco, in questo caso l’implantologia moderna, che permette di riavere denti fissi uguali a quelli naturali che non ci sono più. Da 40 anni a questa parte, sono stati fatti dei passi in avanti notevoli. Ricordiamo che l’impianto è una piccolissima vite che va inserita nell’osso della bocca e che rappresenterà la radice artificiale del nuovo dente. Quando i denti da sostituire sono più di uno, il dentista-implantologo deciderà quanti nuovi impianti utilizzare per sostituire i denti mancanti con la protesi.
Dicevamo di tecniche e tecnologie nuove e avanzate. Rispetto al passato, si sono ridotti i tempi, ma soprattutto l’intervento è diventato praticamente indolore. L’importante è eseguirlo in un centro specializzato perché soltanto un chirurgo esperto e tecnologie all’avanguardia possono permettere di eseguire l’operazione in modo assolutamente impeccabile e sicuro.
Al giorno d’oggi esiste un approccio dell’implantologia chiamato Soft Implantology. Permette anche a chi è terrorizzato da dentisti e aghi di avere denti fissi nuovi. Si utilizza la Tac 3D, che scansiona il volto del paziente e lo ricostruisce digitalmente in tre dimensioni. In questo caso, si studierà attentamente la situazione iniziale su cui poi si deve intervenire. Se necessario, si potrà fare al computer la simulazione dell’operazione chirurgica.
Nel dormiveglia l’operazione senza bisturi
Per chi ha paura del dolore, esiste la possibilità della sedazione cosciente. In tal modo, il paziente si tranquillizzerà durante la preparazione all’operazione. E durante la seduta non avvertirà alcun dolore. Si sta come in uno stato di dormiveglia, si è coscienti, ma non si avvertono fastidi o agitazione. Le nuove tecnologie fanno il resto, riducendo al minimo l’impatto sul paziente e consentendo una guarigione dei tessuti più veloce.
Si utilizza, in questi casi, anche l’implantologia computer guidata. In pratica, laddove possibile, si possono applicare gli impianti dentali e i nuovi denti fissi senza necessità di utilizzare il bisturi e senza i relativi punti di sutura. Meno invasività, dunque, e più rapidità nella guarigione dei tessuti.
I nuovi studi e le nuove tecnologie applicate alla branca dell’implantologia hanno davvero rivoluzionato questo mondo. Oggi riavere denti come nuovi, riprendere a masticare e a sorridere, lasciare da parte l’imbarazzo per la mancanza dei denti, è molto più semplice. La paura viene estirpata alla radice grazie alla sedazione cosciente. I professionisti possono far vedere al paziente prima sul computer ciò che verrà fatto poco dopo, spiegando anche meglio ogni passo dell’intervento.
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Endodonzia: gli effetti delle temperature sugli strumenti in nichel-titanio
Che effetti ha la temperatura di utilizzo sulla resistenza alla frattura di strumenti endodontici in nichel-titanio (NiTi) tecnologicamente di ultima generazione? Gli strumenti più moderni a base di nichel e titanio vengono sottoposti a diversi trattamenti termici, il che aiuta a migliorare le proprietà meccaniche degli strumenti stessi. Si fanno infatti trattamenti particolarmente complicati sia di riscaldamento sia di raffreddamento per rendere perfetta la fase cristallografica e la trasformazione della lega NiTi da austenite a martensite, avvicinandola il più possibile alla temperatura corporea, creando così una lega a memoria di forma, precurvabile a temperatura ambiente.
Uno studio ha voluto valutare l’influenza di temperature diverse di utilizzo sulla resistenza alla fatica ciclica a flessione degli strumenti citati. Con temperature di 0°, 20°, 35° e 39°, è stato registrato il tempo prima che ciascuno strumento si fratturasse una volta azionato il proprio movimento reciprocante in un canale, con angolo di curvatura 60° e raggio di curvatura 5 millimetri. Il risultato finale è stato simile a quelli finora conosciuti: i Reciproc Blue hanno una flessibilità e una resistenza alla fatica ciclica significativamente più elevate rispetto ai Reciproc-M-Wire.
I risultati dello studio
Differenze sostanziali sono state riscontrate anche tra tutte le temperature analizzate per entrambi i tipi di strumenti testati, tranne che tra 35° e 39°. Insomma, la resistenza alla fatica ciclica degli strumenti in NiTi aumenta proporzionalmente al diminuire della temperatura alla quale vengono sottoposti (0° > 20° > 35° > 39°), con differenze che vanno dal 35 al 421%. La temperatura influenza in maniera importante le proprietà meccaniche dei file NiTi testati.
Altro dato interessante emerso dallo studio: l’aumento delle proprietà meccaniche tra 39° e 0° è stato più lineare per gli strumenti sottoposti al trattamento Blue, mentre è stato maggiormente drastico a 0° per i M-Wire. Le temperature più basse potrebbero avere dunque una minore influenza sugli strumenti che presentano una maggiore flessibilità a temperatura ambiente a causa della percentuale inferiore di struttura metallica che può passare dall’austenite alla martensite. Il tutto è naturalmente votato a capire come migliorare la durata degli strumenti endodontici, come riscaldarli o raffreddarli direttamente durante la pratica clinica a seconda delle necessità.
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Odontoiatria conservatrice: a Roma un excursus dagli anni ’80 a oggi
Nel mese di febbraio, a Roma, si è tenuto il 23esimo congresso nazionale della Società italiana di odontoiatria conservatrice (Sidoc), dal titolo ‘Biological esthetic dentistry: odontoiatria estetica biologicamente guidata”. Un vero e proprio percorso per capire il perché degli orientamenti moderni in chiave estetico-ricostruttiva.
Il presidente della Sidoc nonché docente di Odontoiatria conservativa all’Università romana di Tor Vergata Vincenzo Campanella, spiega: “Il punto di partenza è un excursus sull’odontoiatria conservativa dagli anni ’80 a oggi. Quando si è imparato il rigore nelle geometrie e il conservatore ha maturato quella precisione nelle preparazioni meno invasive e ha imposto l’atteggiamento adesivo e minimamente additivo sia nei settori anteriori sia in quelli posteriori”.
Sono passati gli anni, con il cambiamento nelle tecniche e le nuove sperimentazioni cliniche, è mutato anche il modo di pensare del restauratore: “Il ‘pensare adesivo’ è figlio di soluzioni nuove clinicamente ottime, come nel caso di compositi e adesivi di ultima generazione, materiali in ceramica capaci di simulare alla perfezione il comportamento estetico e funzionale della dentatura, anche a spessori minimi e in molti casi applicati senza alcuna preventiva preparazione”.
Il rinnovamento dell’odontoiatria conservativa
L’odontoiatria conservativa si è insomma rinnovata: “Oggi si usa come modello per lo sviluppo del concetto di odontoiatria ed estetica biologicamente guidata, anche nel caso in cui ci sia bisogno di manovre cliniche più complesse”. Aiutano, e molto, le nuove conoscenze sui tessuti dentali: “In caso di traumi, la perdita accidentale di tessuto dento-alveolare richiede un approccio multidisciplinare; grazie a ciò che ci sa oggi, si impone un atteggiamento biologico”.
Al Congresso hanno partecipato anche la Società italiana di traumatologia dentale (Sitd) e la Società italiana di odontoiatria infantile (Sioi). È stato sviluppato il concetto biologico anche nella tecnica della gestione protesicamente guidata dei tessuti molli, a chiusura del congresso. E ancora: l’estetica, la salute e la stabilità dei tessuti intorni ai restauri protesici. La gestione del tessuti extra-orali, periorali. Ogni cosa che ottimizza la ricerca estetica. In collaborazione con la Società di medicina estetica odontoiatrica (Simeo), si è dato ampio spazio alle possibilità terapeutiche, ai materiali e alle tecniche a supporto dell’odontoiatria conservativa-estetica.
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Impianto dentale: quando ci troviamo davanti ai dubbi
Hai un dente malato, ma non sai se è meglio sostituirlo con un impianto o tenerlo e curarlo. Il bivio c’è per tutti, prima o poi. Cosa è meglio? L’impianto o protesi dentale ha un’efficienza straordinaria in chi ha perso uno o più denti. Esteticamente, al giorno d’oggi, si ottiene un risultato particolarmente soddisfacente e pure a livello funzionale, ci si avvicina tantissimo ormai al funzionamento di un dente naturale.
Se pensiamo ai rischi, la protesi dentale è una tra le più sicure del corpo umano. Il successo si ottiene con percentuali che oscillano tra il 90 e il 100 per cento quando si hanno 16 anni. Con vita utile che può arrivare anche a 40 anni contro quella d’anca o del ginocchio che bisogna sostituire solitamente dopo 15 – 20 anni. Quindi un impianto dentale ha una vita doppia, solitamente, rispetto alle altre protesi. Naturalmente, i 40 anni di cui sopra valgono se il paziente si sottopone a controlli periodici e se segue le direttive del proprio dentista.
Meglio tenersi il dente e curarlo o mettere l’impianto?
Chiaro che la perfezione assoluta non è stata ancora raggiunta. E così anche un impianto dentale può andare incontro ad alcune criticità, in special modo nei pazienti che soffrono di diabete o che fumano tanto. Così come in quelli che hanno perso i denti per parodontite, per infezioni come la peri-implantite. Quindi, per essere chiari, è molto più facile prevenire e poi curare le malattie dei denti piuttosto che le ‘malattie’ degli impianti.
La risposta alla domanda dell’inizio, dunque, è che è sempre meglio provare a mantenere e curare il dente malato piuttosto che fare ricorso a un impianto. Non è questa la prima scelta. Naturalmente, prima di sottoporsi a un intervento di questo tipo, il paziente viene informato su rischi e benefici mantenendo il dente e curandolo o sostituendolo con la protesi.
Non si tratta di demonizzare l’impianto dentale, naturalmente. Anzi. Oggi risulta una soluzione ottimale, come abbiamo scritto poche righe più su. La soluzione plantare può infatti concedere una seconda opportunità alla zona. Esteticamente il lavoro oggi soddisfa tutti ed è di grande qualità. A livello funzionale, pure. Come qualsiasi cosa di ‘esterno’, però, non sarà mai come ciò che la natura ci fornisce direttamente. Una carie è curabile, lo sbiancamento dei denti si può fare periodicamente. Ci sono tanti modi per curare un dente o più denti malati. Se però si vuole ricorrere direttamente all’impianto, dopo aver saputo i pro e i contro, oggi gli studi dentistici italiani sono tutti all’avanguardia.
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Denti spezzati trattati con staminali: la polpa si rigenera
Denti spezzati: le nuove tecniche di rigenerazione
I denti spezzati possono ricrescere. La scoperta è stata fatta da un’equipe di odontoiatria infantile, che ha lavorato utilizzando cellule staminali prelevate dalla radice dei denti da latte dei bambini al fine di rigenerare elementi permanenti che si erano rotti.
La ricerca è stata effettuata alla Quarta Università di Medicina di Xi-an, in Cina. Il team era composto da Songtao Shi (Università della Pennsylvania), Yan Jin, Kun Xuan e Bei Li.
Poi è stata pubblicata su ‘Science Translational Medicine’. Inutile dire che si tratta di uno studio che può avere svariate applicazioni.
Infatti, quando un bambino che sta giocando cade, rovinandosi la bocca, c’è il rischio che la botta vada a colpire un dente permanente in formazione. Il che può impedire l’afflusso di sangue e il conseguente sviluppo della radice.
Come funziona
Dopo l’infortunio, però, si possono ripristinare tutti gli elementi a livello di polpa, dentina, smalto, legamenti, connettivo, circolazione sanguigna e terminazioni nervose. Riparare quindi interamente il danno.
Shi spiega il lavoro così: “Questo trattamento restituisce ai pazienti il sorriso, la sensibilità. Scongiura la devitalizzazione. Possono sentire di nuovo il caldo e il freddo, hanno di nuovo denti vivi”. Prosegue: “Finora abbiamo dati di follow-up per due-tre anni e abbiamo dimostrato che questa è una terapia sicura ed efficace”.
Shi lavora da dieci anni circa sulle possibilità delle cellule staminali dentali. Tutto nacque dopo averle scoperte nei denti da latte di sua figlia.
Cristiano Tomasi, associato presso il dipartimento di Parodontologia dell’Università svedese di Goteborg, nonché membro della Società italiana di Parodontologia e Implantologia (SIDP), dice: “Se nei bambini una caduta porta a una frattura, può succedere che il nervo del dente resti esposto parzialmente”.
Cosa che può provocare un’infezione e, quindi, alla devitalizzazione del dente stesso. Finora, per evitare questo inconveniente, si cercava di mantenere la polpa vitale con l’incappucciamento della polpa, riempiendo se possibile la cavità con materiale artificiale in grado di far ricostituire la dentina.
Un processo chiamato ‘apecificazione’ che, però, non sempre portano a guarigione completa di dente e radice.
Ecco perché la ricerca cinese-americana è in grado di rivoluzionare la situazione. Lo studio è stato compiuto su 40 bambini cinesi con incisivo permanente danneggiato; 30 sono stati sottoposti al trattamento con staminali, gli altri 10 con apecificazione.
Dopo 12 mesi, sono stati controllati tutti e 40. Soltanto i denti di chi era stato curato con le staminali aveva di nuovo sensibilità. Facendo ulteriori indagini, si è scoperto che le cellule staminali avevano portato alla rigenerazione di varie parti della polpa dentale.
Impianti e ponti: in 3D le microlesioni si vedono subito
Impianti e ponti: i vantaggi visti in 3D
Ora è possibile scoprire se ci sono crepe sui ponti dentali o sugli impianti prima che si propaghino e diventino quindi irrecuperabili. Merito di una nuova tecnologia, sviluppata oltreoceano, negli States, che utilizza il 3D.
Per arrivare a questo risultato, si è lavorato alacremente all’Università del Texas, ma il risultato valeva tutto lo sforzo fatto: si riescono a vedere lesioni microscopiche e impercettibili in altro modo. Il che permette poi di porvi riparo prima che il danno peggiori.
La ricerca è approdata sulle pagine di ‘Nature Communications’. Non solo, adesso, gli operatori del settore saranno in grado di riparare prima che sia impossibile, ma saranno capaci di sviluppare ponti e impianti più resistenti, con materiale migliore. Ma come si è svolto l’esame obiettivo?
Michael Demkowicz ha guidato un’equipe che ha osservato, con il più potente dei microscopi, una piccolissima fessura al Laboratorio Nazionale delle Argonne. Poi, il gruppo ha assistito al suo propagarsi, riuscendo dunque a individuare i punti deboli lungo il suo percorso.
L’esperimento in sintesi
È stato utilizzato per l’esperimento un metallo, in quanto materiale che si danneggia particolarmente e facilmente a causa dell’idrogeno, in particolare quello che si trova in acqua. Il processo si chiama ‘infragilimento da idrogeno‘.
E provoca fratture improvvise. In realtà, questa cosa si sa da 150 anni, ma solo adesso si riesce a capirne il modo di agire.
Peter Kenesei, uno degli autori dello studio, a questo proposito spiega: “Siccome il meccanismo di infragilimento da idrogeno è ancora ai più sconosciuto, gli ingegneri devono progettare usando materiali per coprire qualsiasi frattura improvvisa, facendo aumentare i costi”.
Finora era possibile analizzare i danni solo una volta che avvenivano. Grazie alla nuova tecnica, potrebbe esserci una prevenzione più efficace e meno costosa.
“È molto meglio che arrivare sulla scena del crimine dopo che il delitto è già stato compiuto” ha usato una metafora Demkowicz.
I ricercatori hanno potuto analizzare le micro crepe in una lega di nichel, identificando ben 10 microstrutture che potrebbero rendere i metalli più forti e meno esposti al danno da idrogeno.
Ci vorrà tempo prima di assistere all’arrivo di questa tecnica per ponti e impianti dentali negli studi odontoiatrici. Le microlesioni sono più complicate da capire della struttura a doppia elica del Dna. Parola di ricercatori.
L’impianto dentale: quanto può durare?
Impianto dentale: durata ed efficienza
L’impianto dentale è il miglior modo per sostituire un dente mancante, estratto perché ormai compromesso in maniera assolutamente definitiva. Molti si domandano quanto possa durare dunque un impianto dentale.
In realtà, non c’è una risposta univoca a questa domanda. Le situazioni diverse possono infatti influire. Fin dal momento dell’operazione chirurgica di inserimento.
Serve una persona che sappia esattamente quello che fa, non solo durante l’intervento, ma anche prima con una pianificazione precisa dei vari step.
Poi, il tempo di durata dell’impianto dipende dalla salute del paziente. Ma, soprattutto, dalla possibile presenza di piorrea non controllata.
Insomma, più sedute dal dentista per controllo e igiene vengono fatte, più a lungo durerà l’impianto. Che si comporta come una vera e propria struttura, che necessita di manutenzione. Di terapie, insomma.
La garanzia che si può offrire sta nei controlli periodici. Inutile dare tempi precisi se non si sa poi come il paziente si comporterà dopo l’operazione. Va avvertito di questo colui o colei che si sottopone all’intervento di implantologia.
Ci sono comunque case produttrici che utilizzano materiali di altissimo livello, che hanno tutte le certificazioni. Il materiale viene dunque venduto con garanzia a vita. Il paziente, invece, nel caso in cui l’impianto dopo alcuni anni dovesse dare problemi o se dovesse esserci deterioramento, potrà sostituirlo con uno nuovo.
Gli impianti dentali sono i migliori amici di chi non vuole dover fare ricorso alla vecchia dentiera. Studi recenti hanno dimostrato che la durata media di un impianto dentale, nel 95 per cento dei casi, non si spinge oltre i 10 – 15 anni.
Se il paziente è in buona salute, non beve e non fuma e fa una dieta equilibrata, se gli ossi della mascella e della mandibola non hanno malattie e mantengono buona densità e spessore, se vengono seguite scrupolosamente le indicazioni dello specialista, allora la durata può benissimo superare questo tempo stimato.
L’igiene quotidiana poi ha un ruolo determinante nella tenuta di un impianto.
A proposito, sapete che è bene distinguere tra tempo medio di vita della protesi e della vite in titanio? A pesare maggiormente è la prima, che dipende dalla resistenza dei materiali e da tutti i ‘se’ che abbiamo elencato sopra.
Meno preoccupazioni, invece, per la durata della vite, garantita sostanzialmente a vita. Dovesse rompersi, probabilmente c’è stato qualche errore mentre si pianificava l’intervento. Patologie come il bruxismo o il serraggio delle arcate dentarie dovute a tensione possono portare parimenti alla rottura o all’allentamento delle viti inserite.
La spesa per un impianto dentale può variare da 1.500 a 5 mila euro a dente. Anche per questo motivo, chi si sottopone a questa operazione, ha molto interesse a sapere quanto durerà.